Un interrogatorio - muto - nel carcere di Varese e un prelievo del Dna. Ieri Stefano Binda, il 48enne accusato dell'omicidio di Lidia Macchi (nella foto) che avrebbe compiuto 29 anni fa a Cittiglio, ha ricevuto la visita dei magistrati e della Scientifica. L'uomo si è avvalso della facoltà di non rispondere, sia davanti al gip di Varese Anna Giorgetti sia con il sostituto pg di Milano Carmen Manfredda. Poi ha parlato con il proprio legale, Sergio Martelli. All'uscita dal carcere l'avvocato ha detto: «Il mio assistito sta bene. In questi giorni non si è mai opposto a nulla». Nel primo pomeriggio sono arrivati gli agenti della Polizia scientifica che avevano il compito di prelevare il Dna del presunto assassino. Un atto irripetibile, che quindi richiedeva anche la presenza del difensore. Non è detto però che il campione di materiale genetico potrà risolvere definitivamente il cold case della studentessa. I vetrini con il liquido seminale del colpevole infatti sono stati distrutti nel 2000 e non sarà possibile fare un confronto decisivo e trovare una corrispondenza. Il prelievo è utile per acquisire un profilo attribuibile con certezza all'indagato. Servirà probabilmente a un confronto con il Dna trovato sulla busta della lettera-confessione oggi attribuita a Binda. Sulla linguetta non c'è il suo profilo. E con quello sull'unico lembo di abiti di Lidia rimasto agli atti, che però è un profilo parziale.CBas
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